Mi sono commossa, come migliaia di italiani, quando ho visto Silvia Romano scendere dall’aereo e abbracciare così forte la sua famiglia. Ho pensato solo: «Che bello!».
Mi sono arrabbiata quando, di lì a poco, l’onda d’odio ha iniziato a levarsi travolgendo – incredibilmente – una storia a lieto fine. Dai social ai giornali fino ad una certa “politica”, accuse, commenti e illazioni vergognose hanno imbrattato la gioia di una famiglia che dopo 18 mesi ha vissuto come un miracolo quel ritorno a casa. Eppure, in questo Paese, accade anche questo. Accade che una giovanissima cooperante, sequestrata per quasi due anni, diventi bersaglio di offese e minacce tanto gravi da far addirittura intervenire la magistratura.
Ma perché? In queste settimane si è scritto e detto di tutto. Ma, in fondo, a scatenare l’incomprensibile odio contro questa ragazza ci sono solo due o tre cose semplici semplici.
Silvia è donna, è scesa dall’aereo sorridendo e indossando un abito che evocava una vicinanza all’Islam. Femmina, felice, islamica. Un vero oltraggio! Ma come, era prigioniera e si è convertita? Ma come, era prigioniera e sorride? Avrebbe dovuto avere addosso, evidenti, i segni delle violenze o del dolore patito. Sarebbe stato diverso, avrebbe sì meritato comprensione e solidarietà. Avrebbe dovuto imprecare contro i carcerieri e il Corano. Avrebbe dovuto mostrare, da femmina, tutta la sua paura e le sue fragilità. Avrebbe dovuto piangere, perché questo fanno le femmine! Oppure tornare in una bara. Altro che sorrisi, abiti islamici, e forza d’animo!
Da più parti si è detto che tanto odio è soprattutto figlio di un sessismo che in questo Paese è ancora fortemente radicato. E lo credo anche io. Oltre ad una diffusa islamofobia. Se Silvia fosse stata un uomo tanta cattiveria gratuita non sarebbe venuta fuori. Questo è sicuro, e le vicende pregresse lo dimostrano. Se fosse tornata atea anziché islamica nessuno si sarebbe stupito. Ed anche il tema del riscatto, diciamocela tutta, è stato del tutto strumentale per fomentare ulteriore odio e nel contempo giustificarlo. Eppure basterebbe un briciolo di umanità per gioire per una vita salvata e lasciarsi contagiare dal sorriso di chi ha attraversato un lungo inferno di paura e solitudine uscendone viva.
E se dibattito deve esserci, che sia sulle responsabilità. Di chi non ha protetto evidentemente Silvia a dovere, di chi dovrebbe vigilare su enti/associazioni/organizzazioni che partono per missioni o iniziative di volontariato in territori difficili, di chi l’ha rapita.
VM
Stessa emozione.