C’era una volta una scuola, col suo giardino, le corse per le scale, le aule ordinate e le lavagne al muro, i rumori, le grida, i sorrisi e i quaderni disordinati. Poi il sisma, l’abbandono decennale, il degrado, la violenza dei vandali e dell’oblio fra imbrattamento e decadenza. Una ferita per una comunità che aveva in quella scuola, la mia scuola, un riferimento, un cuore pulsante, un simbolo di vitalità. Questa è la piccola storia della “Carlo Febbo”, che c’era una volta e poi…non c’è più.
Una scuola elementare di un paese, San Nicolò a Tordino, alle porte di Teramo, che ha tirato su generazioni di bambini: gli stessi bambini che da adulti hanno visto il declino ed il colpevole abbandono di un luogo accogliente, che un tempo profumava di libri e matite, mutato in discarica, devastazione e terra di nessuno.
Dal 2009 si sono tentate ed annunciate azioni di recupero e riqualificazione mai andate in porto. Poi la svolta: qualche cocciuto amministratore, sistematicamente pungolato da un’intera comunità delusa dal degrado, si è messo in testa che “sì, si poteva e doveva fare”. Recuperati i fondi quasi andati persi, sono partiti i progetti e i lavori. Ed una luce, per la scuola elementare culla di sogni, speranze, insegnamenti e amicizie, si è accesa.
Ora questa potrebbe essere un’operazione “nostalgia”, in realtà è un’operazione “speranza”.
Oggi la scuola elementare non c’è più, ma c’è. L’edifico, mantenuto integro ma completamente riqualificato e messo in sicurezza, non avrà più la “rigida” mission di una scuola ma punta ad obiettivi più “ampi”, a disegnare orizzonti più estesi e ambiziosi. Le porte delle aule si sono aperte al mondo dell’associazionismo trasversale per accogliere tutti: bambini, famiglie, genitori, anziani, sportivi, lettori, musicisti, ballerini, giocatori di scacchi, artisti. O aspiranti tali. La ex Carlo Febbo, ora centro multiculturale, come un laboratorio sociale di inclusione, integrazione, interazione, condivisione. Una scommessa, forse un azzardo, di certo uno slancio di ottimismo e speranza per una comunità che ha accolto con autentica gioia la novità. Un piccolo seme piantato in una frazione definita per decenni “dormitorio”, che ora prova a riscoprirsi paese, lanciando un messaggio di fiducia forte in un momento in cui la società sembra aver perso la capacità di guardare al prossimo con tenerezza e dove la critica ostinata e la rabbia troppo spesso offuscano il bello che c’è.
Il taglio del nastro del rinnovato edificio lo scorso 7 ottobre è stata una vera festa, con momenti di forte commozione. E se è vero che le amministrazioni passano, i politici passano e le promesse pure, ciò che resta sono i fatti e i sogni condivisi.
Così per la ex Carlo Febbo due cose rimarranno indelebili più di altre.
Resterà la tenacia di chi ha ci ha creduto, di chi ha lavorato ad un progetto “diverso”, di chi ha piantato fiori e imbiancato pareti, di chi ha spazzato pavimenti e realizzato ciò che era stato immaginato su carta. E resterà il nome di questo nuovo spazio, che per sempre riporterà al sorriso grande e accogliente di un giovane visionario della politica teramana, consigliere comunale prematuramente scomparso: Massimo Speca.
Nei mesi scorsi, nel dibattito fra ”conservatori” e “progressisti” su quale nome scegliere per la ex scuola, ci si interrogava se lasciare l’intitolazione a Febbo o inventarsi qualcosa di totalmente nuovo.
Speca, con l’estro di chi dice cose geniali spacciandole per normali, tirò fuori senza difficoltà “Ca.Fè.”: un Carlo Febbo moderno, sintesi perfetta di un luogo che mantiene l’identità del suo passato proiettandosi ad un futuro multiculturale. Con speranza e ottimismo.