Il pensiero del futuro, del mondo e della società che vorremmo si fa decisamente più concreto e insistente quando si ha qualcuno da amare. Qualcuno che resterà dopo di noi. Un figlio, un nipote, un alunno da accompagnare verso il domani. La preoccupazione su cosa lo aspetterà o su come sarà la società nella quale vivrà diventa una costante mentre si guarda quel bambino muovere i suoi passi nel mondo.
Il mio concetto di futuro da quando sono entrata nell’universo dei bambini (come mamma, come zia, come amica di insegnanti, di genitori, di nonni) è cambiato. Non più – anzi non solo – proiettato su di me con “cosa farò”, “dove andrò” e cose così…ma esteso alla platea degli adulti di domani. Un cambio di prospettiva che allarga l’orizzonte e amplifica perciò le domande, i dubbi, i timori.

Spesso, come a tanti genitori, mi viene chiesto: “Cosa vorresti per i tuoi figli?”. Credo che sia una delle domande più difficili alle quale rispondere.
Perché non lo so. D’istinto, e quindi proprio per questo forse è la risposta più autentica, dico: “Che siano felici e liberi”. Ma la felicità e la libertà sono strade da percorrere, non status che si acquisisce per finire attaccato come medaglia sul petto. Sono una conquista quotidiana che non si fa in solitaria. E per ognuno possono arrivare e dipendere da situazioni, esperienze, avventure diverse.
Spero, perciò, che i miei figli e tutti i figli possano vivere in una società che non ostacoli la felicità e la libertà. O, almeno, che non ne ostacoli la ricerca.
Una società dove serietà ed onestà tornino ad essere valori riconosciuti e non etichette per identificare qualcuno da scansare.
Una società che favorisca l’aiuto più che la competizione sfrenata; che accolga la specialità di ogni essere umano senza giudizio, senza pregiudizio, senza imbarazzo.
Una società che sappia ascoltare e non solo gridare; che sappia abbracciare e prendere per mano; che sappia premiare il merito, il sacrificio, la competenza. Una società dove il lavoro venga pagato e dove la furbizia cessi di essere la più ambita delle qualità.
Una società di parole gentili e di gesti educati, dove ogni persona – come quel genio di Kant diceva – sia il “fine” e non “il mezzo”.
Una società che possa (finalmente) mettere da parte l’apparire ad ogni costo e l’ammiccamento corruttivo, per lasciare il passo alla sostanza.
Una società che rimetta al centro i diritti e i doveri, anche morali, di tutti e di ognuno; che sappia guardare oltre l’apparenza di una gonna, di un selfie, di auto-elogi e auto di lusso utili spesso a narrare qualcosa che non esiste.

Ecco, questo vorrei per i miei figli e per tutti quei bambini che ogni giorno vedo correre verso il portone della scuola, volare in alto su un’altalena, ridere forte per uno scivolone sul ghiaccio o saltare come grilli per un pallone infilato fra i pali.

Vorrei che quella carica di vita non venisse uccisa da una società che ancora tende a selezionare più che ad accogliere.

VM